Le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi vanno avanti

Le "illazioni offensive e infondate” contro san Giovanni Paolo II vanno respinte e si deve riprendere il lungo cammino percorso sulla strada della verità.

Grande è stata l’indignazione per le parole che Pietro Orlandi ha osato rivolgere all’indirizzo di Giovanni Paolo II e per le assurde, basse insinuazioni riguardo a presunti divertimenti notturni.

Parole che sono state duramente condannate dal cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario personale di san Giovanni Paolo II fin dai tempi in cui questi era arcivescovo di Cracovia. Altra severa presa di posizione è venuta dai vescovi italiani per i quali “Non ci possono essere mezzi termini, infatti, per definire i recenti attacchi verso San Giovanni Paolo II”; anche il Santo Padre ha respinto “illazioni offensive e infondate” contro papa Wojtyla.

Soltanto chi non ha conosciuto affatto Giovanni Paolo II potrebbe forse parlare in quella maniera. E Pietro Orlandi quel papa lo ha conosciuto benissimo.

Ma a parte ciò, le pesanti insinuazioni vanno energicamente respinte anche per un motivo di carattere strettamente tecnico. Perché vanno in tutt’altra direzione rispetto alle inchieste sul rapimento della povera Emanuela Orlandi e al processo che si è aperto davanti al tribunale vaticano. E non si tratta di inchieste del Vaticano, come Pietro Orlandi vorrebbe far credere, ma di quarant’anni di indagini che hanno interessato, oltre al Promotore di giustizia vaticano, anche la magistratura italiana e soprattutto il giornalismo di inchiesta che ha lavorato in totale autonomia e con il supporto dello stesso Orlandi – ricordiamo a questo proposito, tra le tante cose, il libro scritto a quattro mani dal fratello di Emanuela insieme a un autorevole e scrupoloso giornalista come Fabrizio Peronaci, libro intitolato “Mia sorella Emanuela”.

In questo senso sarebbero probabilmente da intendersi le parole del Segretario di Stato, il cardinale Parolin, che ha affermato la ferma volontà di non indietreggiare sulla strada della ricerca della verità per “arrivare a chiarire, vedere quello che è stato fatto nel passato sia da parte italiana, sia da parte vaticana e vedere se c’è qualcosa ancora che si può fare di più sempre con questo scopo, arrivare a chiarire, credo che lo si debba innanzitutto alla mamma che è ancora viva e soffre molto, lo facciamo con le migliori intenzioni”.

Bisogna riconoscere la grande dignità delle parole di Parolin, che presuppongono la disponibilità della Santa Sede ad accettare anche verità scomode, come potrebbe essere un coinvolgimento nel crack del Banco Ambrosiano e una poco trasparente gestione delle risorse dello Ior, ai tempi di Marcinkus. Si tratta di operazioni che andavano a inserirsi purtroppo in un particolarissimo quadro politico legato al crollo dell’Unione Sovietica e all’utilizzo di fondi per sostenere il sindacato polacco e finalizzati a determinare il crollo del comunismo sovietico. Perché è qui che le inchieste conducono. E con questo si capisce quanto grave sia il tentativo di “buttarla in caciara” – come si dice a Roma – con il risibile e morboso argomento dei “divertimenti notturni” che non aggiunge nulla sul vero motivo del rapimento di Emanuela.

Tutte le inchieste portano nella direzione di un ricatto al Vaticano, ricatto che ha avuto la sua principale manifestazione nel tentativo di uccidere il papa. Infatti, la chiave per comprendere il rapimento di Emanuela Orlandi è l’attentato in piazza San Pietro a opera di Ali Agca.

Marco Ansaldo, vaticanista di Repubblica, qualche anno fa ha scritto insieme a Yasemin Taskin un libro dal titolo “Uccidete il papa” dove si ricostruiscono dettagliatamente tutti i movimenti dell’attentatore affiliato ai Lupi Grigi. In questo libro gli autori sostengono che dall’ufficio vaticano dove operava Ercole Orlandi, papà di Emanuela, sarebbero stati consegnati due pass per avvicinare Giovanni Paolo II nella domenica precedente l’attentato, mentre quel papa era in visita in una parrocchia romana, pass recapitati presso la pensione Isa di Roma, proprio dove in quei giorni soggiornava Ali Agca. Questo potrebbe far comprendere perché si metteva in atto un ricatto proprio ai danni di Ercole Orlandi il quale avrebbe potuto rivelare l’esistenza di un secondo destinatario del pass per avvicinare papa Wojtyla, con tutta la rete di complicità alla quale si poteva con questo risalire.

L’ipotesi cui rimanda il libro di Marco Ansaldo e Yasemin Taskin trova un importante riscontro nelle pagine della rivista 30giorni, allora diretta da Giulio Andreotti, dove si identificava – particolare che sembra desunto dagli atti dell’inchiesta – uno dei testimoni della visita del papa in parrocchia, un certo Daniele Petrocelli, il quale in quella occasione sarebbe riuscito anche a scattare una fotografia nella quale tre giorni dopo avrebbe riconosciuto, nella fila dei posti riservati, il volto di Agca, fotografia poi doverosamente consegnata alla Digos.

Riguardo a tracce di complici di Agca presso la pensione Isa non ha dubbi nemmeno Fabrizio Peronaci, giornalista del Corriere della Sera e principale esperto della storia della scomparsa di Emanuela, avendo verificato che la stanza per il terrorista dei Lupi Grigi nei registri della pensione risulta essere stata effettivamente prenotata da una seconda persona, un cittadino italiano.

A questo punto è necessario dire che Ali Agca, prima di mettere in atto il suo sconvolgente piano fece un comunicato stampa – unico caso nella storia del terrorismo – per avvertire che “sparerò senz’altro al papa” e per rendere note a tutti le motivazioni dello sciagurato gesto.

Chi ha voglia di capirci qualcosa di questa storia, si renderà subito conto di quanto pochi siano i misteri attorno all’attentato di Ali Agca, se non uno: come mai egli non fu fermato nemmeno quando prese una camera in quella pensione a pochi passi dal Vaticano? E questo può anche fare capire quanta sprovvedutezza ci sia in chi fa appelli perché siano tirate fuori verità o dossier nascosti. Quando i fatti sono così evidenti, come è in questo caso, chi mai potrebbe pensare di riuscire a nascondere qualcosa?

Questi sono tentativi sicuramente destinati a naufragare davanti alle stringenti regole di un processo che può basarsi soltanto su prove concrete e non su rivelazioni mistiche come purtroppo certe distorsioni delle rivelazioni di padre Amorth sulla realtà pur vera della pedofilia possono suggerire. Per non parlare di tutto quel mondo che ritiene che queste vicende possano essere messe in relazione a occulti significati attribuiti al terzo segreto di Fatima. Sono cose che, ripetiamo, nessuna considerazione possono sperare di avere da parte di chi si occupa di questa inchiesta.

Se qualcuno teme che il Vaticano voglia ostacolare la ricerca della verità deve sapere che queste inchieste non vengono condotte soltanto dal Vaticano ma anche da altri organismi indipendenti, se non addirittura ostili al Vaticano. Dunque, come ha detto il cardinale Parolin, le indagini su Emanuela Orlandi devono andare avanti. E bisogna avere fiducia che la verità si farà strada. È una proprietà della verità quella di rendersi evidente.

Foto di pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1974664

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Paolo Tritto

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