Montescaglioso: con il bicentenario della Chiesa Madre si apre l’anno giubilare

Duecento anni fa - era la solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo - veniva dedicata la nuova chiesa madre di Montescaglioso. Lunedì scorso, 29 maggio, una serata di gioia che ha coinvolto tutto il paese con i momenti particolari dell'apertura della porta santa, segno di inizio di un anno giubilare, e della consacrazione del nuovo altare.

Nella serata di lunedì 29 maggio 2023 la Chiesa Madre di Montescaglioso ha festeggiato il bicentenario della sua consacrazione. Era, infatti, il 29 maggio 1823, giorno del Corpus Domini, quando fu consacrata l’attuale Chiesa Madre, terza sede della Parrocchia le cui origini sono medioevali.

La città era in festa per l’evento: la banda, il popolo che seguiva la processione o la osservava, i fedeli trepidanti per l’apertura della porta santa e desiderosi di entrare in chiesa per ringraziare il Signore per l’evento.

In vista del bicentenario, il parroco don Gabriele Chiruzzi, assieme alla comunità, ha deciso di adeguare lo spazio liturgico al fine di ottenere un presbiterio ordinato e rispondente alla lettera e allo spirito della riforma liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II. Le linee-guida che hanno ispirato il progetto, redatto dall’architetto dott.ssa Roselena Sulla, sono da ricondurre alle essenziali ma eloquenti indicazioni della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium: “I riti risplendano per nobile semplicità […] e si ricerchi una nobile bellezza piuttosto che una mera sontuosità” (SC, nn. 34, 124). In fondo all’articolo un focus con intervista all’arch. Sulla sull’adeguamento liturgico dell’area presbiterale, eventualmente una prima fase dell’adeguamento dell’intera aula liturgica.

Nella celebrazione eucaristica del bicentenario, inoltre, è stato consacrato il nuovo altare da S.E. mons. Giuseppe Sciacca, Vescovo titolare di Fondi e Presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, in una solenne eucaristia concelebrata da S.E. mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera – Irsina e Vescovo di Tricarico, e da tutti i sacerdoti originari di Montescaglioso. 

All’inizio della liturgia, inoltre, c’è stato il rito di apertura della Porta Santa che ha inaugurato anche l’anno giubilare (29 maggio 2023 – 29 maggio 2024) nel corso del quale i fedeli potranno lucrare l’indulgenza plenaria alle solite condizioni prescritte dalla Chiesa Cattolica. 

Di seguito la diretta completa della celebrazione eucaristica per il bicentanario curata dai sigg. Michele Mutinati e Domenico Leone ed alcune foto della celebrazione.

La Chiesa Madre, una storia in tre tempi. Primo tempio, S. Giovanni Battista

La prima Chiesa Madre era identificabile con la chiesa di San Giovanni Battista ed era chiesa di “patronato comunale” (in cui il Comune, cioè, secondo la consuetudine medievale, esercitava diritti e doveri sull’immobile). L’edificio fu demolito negli anni 1911 – 1912 per ricavarne l’omonima piazza. Sono rimasti il campanile, ora torre dell’Orologio, tre cappelle sotto il palazzo “Cifone” ed un frammento di acquasantiera in un angolo della piazza.

Secondo tempio, intitolato ai Ss. Pietro e Paolo

La seconda Chiesa Madre, invece, è intitolata ai Santi Pietro e Paolo e fu eretta in epoca imprecisata al centro del paese che nei secoli XI – XII si era molto sviluppato. La chiesa era a tre navate: le laterali coperte a volta e la centrale con orizzontamento in legno. L’ingresso principale era rivolto ad ovest e l’altare maggiore, rifatto nel 1727, ad est. Aveva la sacrestia e un grande campanile e all’interno, cappelle ed altari eretti dalle principali famiglie del paese. Nel 1776 crolla parte di una navata laterale della chiesa.

Terzo tempio, la chiesa attuale

L’Università (ovvero il comune, nel linguaggio medievale) e il clero, allora, decidono di abbattere l’edificio e costruire una nuova chiesa nello stesso sito.La Parrocchia fu momentaneamente trasferita nella chiesa di San Giovanni Battista e, dal 1778 al 1823, nella chiesa di Sant’Agostino. Il progetto fu redatto dall’ingegnere Giovanni Cervelli di Bitonto ed il 14 Maggio del 1780, Don Camillo Cattaneo, Canonico della Cattedrale di Napoli e primogenito del Marchese Antonio Cattaneo pose la prima pietra. La vicenda della ricostruzione è narrata in un manoscritto della “Deputazione di Storia Patria”: il medico Domenico Gatti descrive la chiesa vecchia, buia, umida e ammorbata da “aria mefiticosa” prodotta da innumerevoli sepolture. Furono acquistate alcune case ed occupata parte di una strada, l’attuale via Vespucci, che impedivano una maggiore lunghezza dell’edificio e la costruzione del coro e del transetto. Gran parte della struttura fu terminata nel 1816 e gli apparati di stucco tra il 1817 ed il 1820. La nuova quadreria fu opera del veneziano Giovanni Donadio. Le grandi famiglie del paese, tra il 1819 ed il 1822, sostennero i costi per altri dipinti e gli altari secondari.

Il Marchese Ferdinando Cattaneo donò quattro grandi tele, quelle poi attribuite a Mattia Preti e i quadri degli Apostoli e degli Evangelisti. L’altare maggiore fu acquistato dalla chiesa dei Gesuiti di Sessa Aurunca grazie all’intermediazione del Marchese Cattaneo. La balaustra fu realizzata dai Conti Galante che apposero sull’opera lo stemma del casato. Le due acquasantiere della navata centrale furono acquistate a Napoli ed i sontuosi lampadari, furono regalati dal Marchese Cattaneo e dal Principe Filomarino della Rocca marito della Marchesina Rosa, unica figlia di Don Ferdinando. Il battistero fu ricavato dalla parte inferiore di un’antica fontana esistente nella ex chiesa dei Benedettini. Il 29 Maggio del 1823, giorno del “Corpus Domini”, l’Arciprete Don Vito Antonio Contuzzi e il clero, presenti il “popolo tutto” e le autorità capeggiate dal Sindaco Giuseppe Mianulli, presero possesso della nuova chiesa il cui patronato era del Comune. Fino al 1825 furono completati il pulpito, i “bussoloni” e le gradinate esterne. Dopo qualche anno nella nuova chiesa, che non aveva subito particolari danni dal terremoto del 1826, si manifestarono significative criticità, soprattutto in seguito ai gravi terremoti del 16 dicembre 1857, prima, e del 23 novembre 1980, poi.

L’oggi

La chiesa madre è stata chiusa fino al 26 giugno 1999, quando è stata riaperta alla presenza di mons. Antonio Ciliberti… Ed è ritornata ad essere il luogo ecclesiale montese per eccellenza: quanti giovani vi hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e vi si sono spostati, quanti funerali vi sono stati celebrati! Ma soprattutto vi hanno avuto luogo una serie di ordinazioni sacerdotali: don Angelo Gallitelli, don Francesco Gallipoli, don Vito Burdo, don Nino Martino, padre Alfredo Santoro, padre Tommaso Mianulli, don Ivan Santacroce!

Nell’ottobre del 2017, poi, la Chiesa Madre ha accolto il suo nuovo pastore, don Gabriele Chiruzzi, e, nel luglio 2019, don Vittorio Martinelli, già arciprete di Montescaglioso, ha celebrato il suo 50esimo di ordinazione sacerdotale!

Ad multos annos!

La Redazione ringrazia il sig. Mario Carruozzolo per le foto.

L’adeguamento liturgico della Chiesa Madre
La parola alla parrocchiana architetta Roselena Sulla
Intervista a cura di Giuseppe Longo

Roselena Sulla, 27 anni, del gruppo giovani della Chiesa Madre di Montescaglioso, laurea in Architettura cum laude all’Università degli Studi della Basilicata nel 2019 con una tesi dal titolo Ernesto Lapadula, costruttore di una “fede” moderna. Recupero conservativo e adeguamento della Chiesa di San Rocco a Pisticci, iscritta all’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Matera, e attualmente dottoranda di ricerca in Cities and Landscapes: Architecture, Archaeology, Cultural Heritage, History and Resources presso l’Università degli Studi della Basilicata, ha progettato l’adeguamento liturgico della Chiesa Madre. Per ora si tratta di una prima fase dedicata specificamente all’area del presbiterio.

Ma cosa si intende per adeguamento liturgico?

Relativamente ad altare, ambone e sede, gli arredi su cui si è intervenuti, nella nota pastorale “L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica” a cura della Commissione Episcopale per la Liturgia (emessa nel 1996, oltre 32 anni dopo la Costituzione Conciliare “Sacrosanctum Concilium”) leggiamo:

La conformazione e la collocazione dell’altare devono rendere possibile la celebrazione verso il popolo e devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti.

Se l’altare esistente non soddisfa a queste esigenze, occorre procedere alla progettazione di un nuovo altare possibilmente fisso e, comunque, definitivo. Preferibilmente l’altare deve essere di pietra naturale e comunque non deve essere trasparente. L’altare preesistente va mantenuto senza tovaglia e le reliquie presenti devono essere asportate, se ciò è possibile.

L’ambone deve essere possibilmente un arredo fisso, quindi non un semplice leggio e deve richiamare esteticamente l’altare. Va collocato in una posizione di cerniera tra l’altare e lo spazio dell’assemblea, ma in posizione decentrata.

Anche la sede del presidente deve essere possibilmente un arredo fisso e deve essere collocato a ridosso dello spazio per l’assemblea, in posizione ben visibile. Non deve essere né a ridosso dell’eventuale altare preesistente, né davanti all’altare, ma in uno spazio proprio e adatto. Nelle cattedrali la sede del presidente non vescovo deve essere distinta dalla cattedra episcopale. Nelle chiese monastiche, in cui sono frequenti le concelebrazioni, occorre prevedere uno spazio per i concelebranti. È anche consigliato uno spazio adeguato per i ministri e i ministranti.

Logos – La parola a lei, architetto. Com’è nata l’idea di un adeguamento dello spazio liturgico della chiesa madre?

Architetto Sulla – Mi ero da poco laureata quando don Gabriele mi ha parlato dell’adeguamento liturgico della Chiesa Madre, e quindi del suo desiderio di dotarla di un altare, un ambone e una sede che fossero degni e a norma, e di cui la chiesa ne era sprovvista. Mi ha quindi proposto di sviluppare questo progetto, ed è stato un onore per me accettare e donare alla chiesa quella che sarebbe stata la mia prima opera. Mentre i nuovi arredi liturgici sono stati dono di un montese emigrato in Canada, Paolo Petrozza.

L – Ha svolto una tesi in architettura liturgica: ha messo in pratica quello che ha imparato in questo momento della sua formazione universitaria.

RS – Oggetto della mia tesi di laurea è stato il recupero, architettonico e strutturale, della Chiesa di San Rocco di Pisticci dell’architetto Ernesto Lapadula, e tale recupero ha previsto anche l’adeguamento liturgico. Studiare la riforma liturgica è stato fondamentale per capire il significato associato a ciascun elemento, ricercare e approfondire interventi di questo tipo già realizzati mi ha permesso di ampliare la mia visione sull’argomento, e ovviamente il supporto dei professori che mi hanno seguita è stato indispensabile. Essermi occupata di questo nella mia tesi di laurea è sicuramente stata una importante palestra che, senza saperlo, mi stava allenando ad affrontare questa bellissima occasione che mi è stata offerta.

L – Quali criticità ha incontrato nel lavoro di adeguamento liturgico e quali sono gli obiettivi raggiunti che l’hanno lasciata più soddisfatta? Quali le principali differenze tra ‘prima’ e ‘dopo’?

RS – Sebbene fossi entusiasta di accettare la proposta di Don Gabriele, mi ero da poco laureata e non avevo alcuna esperienza in tale ambito, se non quella appunto della mia tesi di laurea, per cui temevo di non essere all’altezza di questo compito. Don Gabriele ha creduto in me sin da subito, non potevo certo deludere lui e me stessa. Così sono partita dall’osservazione di quello che la Chiesa, e in particolare il presbiterio, offriva, in termini di forme e colori, e pian piano il progetto è nato. Quando ho mostrato i disegni a don Gabriele, per me è stato molto gratificante sapere che il mio lavoro gli piaceva, e una ulteriore soddisfazione è arrivata quando il progetto è stato approvato dalla Soprintendenza.

Le differenze tra “prima” e “dopo” sono evidenziate dalle seguenti foto riferite rispettivamente ad altare, ambone e sede.

L – Come si sente a lavori ultimati?

RS – L’emozione che ho provato durante la celebrazione dello scorso 29 maggio e che provo tuttora è fortissima, un mix di gioia, soddisfazione e profonda riconoscenza. Uno dei miei più grandi desideri era quello di fare qualcosa per la mia terra, imprimere un segno: quando mi sono iscritta all’università, al contrario di molti giovani, ho deciso di restare in Basilicata. Sarò sempre grata a don Gabriele per essersi fidato di me, perché mi ha dato l’opportunità di testare le mie capacità e lasciare il mio segno nella chiesa in cui sono cresciuta e alla quale sono legati molti dei miei ricordi. Immaginare che quegli elementi rimarranno sempre lì, anche dopo di me, genera una sensazione indescrivibile.

L – Grazie, architetto, della sua illustrazione.

RS – Grazie a voi per avermi dato questa opportunità.

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Nunzio Buonsanti

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