Ritorna il fantasma delle scorie?

E' di questi giorni l'individuazione di 51 siti idonei per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari in Italia di cui 14 in Basilicata e addirittura 10 in provincia di Matera, Dobbiamo fare qualcosa, ricordandoci del 2003?

Dobbiamo prepararci di nuovo alla lotta fatta nel 2003? E’ inevitabile subire questa ulteriore imposizione oppure abbiamo il dovere di fare qualcosa? Sono domande a cui non si può rispondere facilmente ma che, tuttavia, vanno affrontate.  

Intanto, è opportuno dire che, col similare provvedimento di individuazione di siti idonei per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi, nel 2020 erano state individuate 67 aree potenzialmente idonee. Succesivamente, e siamo alla comunicazione di questi giorni, le aree si sono ridotte a 51. Dalla lista sono usciti i siti della Toscana e della provincia di Torino.

Ma, andando per ordine, occorre evidenziare che la Basilicata è già coinvolta in una seria situazione di inquinamento ambientale, iniziata con l’estrazione del petrolio in Val d’Agri, a Corleto Perticara e a Gorgoglione. Innanzitutto, si riscontra aria irrespirabile nella zona del Centro oli di Viggiano, poi periodicamente si verificano delle fiammate anomale ed infine ci sono gli episodi di sversamento delle acque di lavaggio petrolifero che inquinano le acque del lago del Pertusillo.  E non si può ignorare il disastro ambientale del 2016 allorquando si riversarono nei terreni 400 tonnellate di petrolio. Nemmeno si può ignorare i terreni inquinati nelle aree delle zone industriali di Tito e Val Basento. Un finale sconforto deriva dal fatto che nel mentre il Consiglio europeo approva il piano, per gli stati membri colpiti dalla pandemia, per l’attuazione di politiche di transizione energetica, in Basilicata si dà il via a una nuova ed ennesima attività estrattiva di petrolio.

Inoltre, nel  1975, il circolo Culturale “La Scaletta” di Matera organizzò un convegno sulla Liquichimica, azienda che avrebbe dovuto realizzare nel metapontino un investimento pubblico-privato da centinaia di miliardi per la produzione di proteine derivate dal petrolio, rivelatisi poi cancerogene. Tutto fu evitato grazie al senso di civismo della comunità civile e all’azione dei movimenti ecologisti.

Ma il pericolo massimo si corse nel 2003 in occasione della prima indicazione di deposito unico delle scorie nucleari che doveva essere realizzato a Scanzano Jonico. In quella occasione tutta la comunità civile lucana si mobilitò convergendo sul posto con oltre 100000 persone, cosa che fece desistere il governo dell’epoca nell’attuazione del programma.

Si arriva così alle decisioni odierne, cioè all’individuazione di 51 siti idonei in Italia di cui 14 in Basilicata e addirittura 10 in provincia di Matera, e ciò nonostante nel 2020 i politici avevano assicurato che i siti lucani non sarebbero stati coinvolti. Anzi si pensava che sicuramente avrebbero accolto l’autocandidatura di Trino Vercellese ad accettare il sito unico di stoccaggio; cosa che non si è poi realizzata perché il governo ha allargato questa possibilità emettendo un bando di autocandidatura. Questa vicenda ha portato nello sconforto il popolo lucano, in particolare quello di Genzano e di Matera, che spera possa avere efficacia l’avvenuta manifestazione di opposizione al provvedimento espresso dai politici regionali.   

La situazione non è rosea per cui occorre porsi una domanda finale. Se dovessero indicare come deposito unico dei rifiuti nucleari i territori lucani, confluirebbero in Basilicata tutte le scorie radioattive italiane prodotte fino ad oggi. Ma nel caso di approvazione dell’Autonomia differenziata, come andrà a finire? Le regioni sviluppate del Nord, che con l’Autonomia differenziata si terrebbero tutte le tasse scaturenti dalle loro attività produttive e solo in piccolissima parte verserebbero a quello che rimarrebbe dello Stato italiano, si riprenderebbero le loro scorie nucleari come dovrebbe essere in una logica di autonomia regionale? C’è di che preoccuparsi!

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Domenico Infante

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