“Sine dominico non possumus”

In questo percorso verso il congresso Eucaristico Nazionale ci soffermiamo oggi sui 49 martiri di Abitene, martiri “eucaristici” che proprio in questo giorno la Chiesa commemora. Il loro sacrifico cruento è suggellato dalle due affermazioni: “Prima Dio, poi l’Imperatore” e “Senza la domenica non possiamo vivere”. Vogliamo riflettere su di esse ma anche sul vecchio, seppur sempre nuovo, slogan: “Sanguis martyrum, semen christianorum” (Tertulliano, Apologeticum): “Il sangue dei martiri è semente di nuovi cristiani”.

Santi martiri dell’Eucaristia: i 49 martiri di Abitene

Nel lontano 303 d.C. iniziava una delle più feroci persecuzioni anticristiane della storia, la Grande Persecuzione Dioclezianea, che mieté frotte incalcolabili di martiri in tutto l’Impero. Sino alla promulgazione dell’Editto di Milano ad opera di Costantino e Licinio nel 313.

30 uomini, 18 donne e un bambino, di cui gli Atti ci riportano finanche i nomi furono trovati a celebrare il culto del Signore in casa di Ottavio Felice. Essi erano: Saturnino, sacerdote, con i suoi quattro figli – cioè Saturnino il giovane e Felice, lettori, Maria e Ilarione, un bambino; Dativo, o Sanatore, Felice, consigliere municipale di Abitene; un altro Felice, Emerito e Ampelio, lettori; Rogaziano, Quinto, Massimiano o Massimo, Telica o Tazelita, un altro Rogaziano, Rogato, Gennaro, Cassiano, Vittoriano, Vincenzo, Ceciliano, Restituta, Prima, Eva, ancora un altro Rogaziano, Givalio, Rogato, Pomponia, Seconda, Gennara, Saturnina, Martino, Clauto, Felice il giovane, Margherita, Maggiore, Onorata, Regiola, Vittorino, Pelusio, Fausto, Daciano, Matrona, Cecilia, Vittoria vergine di Cartagine, Berettina, Seconda Matrona, Gennara.

Tra gli eventi più forti di questa grande strage c’è quello di cui la Chiesa fa memoria oggi 12 febbraio: a Cartagine furono processati 49 cristiani di Abitene, una piccola sede vescovile tunisina, 80 km da Cartagine, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda.

Medjez-el-Bab (Abitene), Arco di trionfo, resti

“Sine dominico non possumus” fu la risposta che Emerito, uno di loro diede al proconsole Anulino: senza domenica – cioè senza che il Signore sia risorto e senza farne memoria – non possiamo essere!

Celebravano in case private, le “domus ecclesiae” – come allora era d’uso – senza che esistesse già il “precetto” della domenica. E, tuttavia, c’era una strettissima identificazione tra l’essere cristiani e il celebrare la domenica. Felice, un altro dei 49, rispose così al proconsole Anulino che evidenziava il divieto non di essere cristiani ma di riunirsi: «Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano».

Basilica di Uppenna: mosaico tombale di età bizantina ove si legge il nome “Saturnino”

Il vescovo di Abitene, Fundano, aveva obbedito all’editto di Diocleziano del 303 che prescriveva di consegnare i testi sacri alle autorità civili (la cosiddetta “traditio”, da cui la dizione di “traditore”), e tuttavia alcuni cristiani continuarono a incontrarsi illegalmente sotto la guida del presbitero Saturnino che in quell’occasione “celebrava la domenica”: “Ci sottomettiamo prima a Dio e poi all’imperatore”.

“Sine dominico non possumus” è il monito che ognuno di noi dovrebbe ricordare ogni volta che sta per anteporre un impegno diverso alla celebrazione eucaristica domenicale. Sottolineava un bravo parroco che gli Ebrei hanno mantenuto la loro identità e integrità per la fedeltà al sabato, loro giorno sacro. Sarà lo stesso per noi cristiani di questo terzo millennio? «Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento», dicevano i vescovi italiani nel documento programmatico dell’inizio del nuovo millennio (CVMC 47).

“Sine dominico non possumus” è lo slogan che ancora molti di noi ricordano dal Congresso Eucaristico Nazionale di Bari del 2005 e che ci fa riacquistare consapevolezza dell’attualità di questo messaggio alla vigilia del 27° CEN – il cui slogan sarà “Torniamo al gusto del pane” – che come città ospiteremo a settembre e meglio ci prepara a questo evento.

Una pagina eccezionale di storia della Chiesa antica sono gli Atti dei martiri di Abitene, giunti fino a noi – è vero – nella versione poi adoperata un secolo dopo dai donatisti in attacco dei cristiani, eppure – per i dettagli che si riportano – non possono essere che frutto di una registrazione contestuale con l’avvenimento del processo e delle torture. Gli Atti, che si riportano nel seguente paragrafo nella versione integrale, non scendono però nel dettaglio delle cause della morte di tutti: alcuni morirono contestualmente con il processo per tortura, invece altri certamente in carcere di fame nei giorni successivi. Un aspetto, tra gli altri, che dagli Atti traspare è la solidarietà dei martiri nell’affrontare processo e torture: un Corpo di Cristo che continua ad immolarsi per essere seme di nuovi cristiani: “Saturnino e noi tutti celebravamo il Signore risorto”, risponde uno di loro. Inoltre – come nel martirio di Stefano, e ancor prima nella crocifissione di Cristo – è presente la preghiera per i carnefici.

Resti di una basilica cristiana a Cartagine
Martirio dei santi Saturnino, Dativo e molti altri in Africa sotto Diocleziano – Atti

Riprendiamo dal sito della Conferenza episcopale italiana la traduzione degli Atti del Martirio dei santi Saturnino, Dativo e molti altri in Africa sotto Diocleziano a cura di G. Micunco. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

1. La persecuzione di Diocleziano e l’arresto dei martiri (capp. 1-2)

I. Ai tempi di Diocleziano e Massimiano, il diavolo dichiarò guerra ai cristianiin questo modo: si dovevano ricercare i sacri e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture perché fossero bruciatisi dovevano abbattere le basilichedel Signore; si doveva proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore. Ma l’esercito del Signore Dio non accettò tanto tremendo editto, ebbe orrore dei sacrileghi ordini: subito afferrò le armi della fede, scese in combattimento: la lotta non era contro gli uomini, ma piuttosto contro il diavolo. E ci furono alcuni che caddero dal cardine della fede e consegnarono ai pagani le Scritture del Signore e i divini Testamenti perché fiamme sacrileghe li bruciassero; furono, però, moltissimi quelli che morirono da forti, per custodire quei libri, versando per essi con gioia il proprio sangue. Costoro, pieni di Dio, vinto e abbattuto il diavolo, levando nella loro passione la palma della vittoria, martiri tutti, firmavano con il proprio sangue contro i traditori e i loro alleati la sentenza con la quale li avevano rigettati dalla comunione ecclesiale. Non sarebbe stato giusto infatti che nella chiesa di Dio ci fossero insieme martiri e traditori.

II. Accorrevano pertanto da ogni parte verso il campo di battaglia immense schiere di confessori, e ciascuno, dove trovava il nemico, lì piantava l’accampamento del Signore. E così, risuonando la tromba di guerra nella città di Abitenenella casa di Ottavio Felice, lì i gloriosi martiri levarono le insegne del Signore; e lì, dai magistrati di quella colonia e dai soldati di stanza in quel luogo, proprio mentre celebravano, come di consueto, la Pasqua domenicale, ecco che vengono catturati. Sono il presbitero Saturnino con i suoi quattro figli, cioè Saturnino il giovane, e Felice, entrambi lettoriMaria, vergine consacratae il piccolo Ilarione; e così anche Dativo, che pure era senatore, Felice, un altro Felice, Emerito, Ampelio, Rogaziano, Quinto, Massimiano, Telica, Rogaziano, Rogato, Gennaro, Cassiano, Vittoriano, Vincenzo, Ceciliano, Restituta, Prima, Eva, Rogaziano, Givalio, Rogato, Pomponia, Seconda, Gennara, Saturnina, Martino, Danto, Felice, Margherita, Maggiore, Onorata, Regiola, Vittorino, Pelusio, Fausto, Daciano, Matrona, Cecilia, Vittoria, Erettina, Seconda, un’altra Matrona, un’altra Gennara. Tutti costoro, catturati, venivano condotti al foro ed erano pieni di esultanza.

2. Martirio di Dativo e Telica: “per noi è legge celebrare il dominicum“. La funzione del presbitero (capp. V-VI)

V. Dai funzionari vengono quindi tradotti davanti al proconsole; si fa presente che i magistrati di Abitene hanno inviato dei cristiani che, trasgredendo il divieto degli Imperatori e dei Cesariavevano tenuto l’assemblea per celebrare la Pasqua domenicale. Il proconsole interroga per primo Dativo e gli chiede di che condizione sociale sia e se abbia partecipato all’assemblea. Poiché quello si professa cristiano e confessa di avere partecipato all’assemblea, gli viene richiesto chi avesse organizzato la santissima assemblea. E subito dà ordine ai suoi funzionari di innalzarlo sul cavalletto e, una volta disteso su di esso, straziarlo con gli uncini. Ma, mentre i carnefici eseguivano questi crudeli ordini con atroce rapidità, e piantati accanto a lui infierivano anche a parole, e, denudati i fianchi del martire per straziarlo, gli stavano addosso con gli uncini levati, d’un tratto Telica, fortissimo martire, si gettò tra i torturatori e gridò: «Siamo cristiani. Da noi stessi – disse – ci siamo radunati per l’assemblea». Subito il proconsole arse di furore e, gemendo, perché gravemente ferito dalla spada dello Spirito, fece infliggere gravissimi colpi al martire di Cristo, lo fece stendere sul cavalletto e lo fece dilaniare con gli uncini che stridevano su di lui. Purtuttavia, il gloriosissimo martire Telica, proprio di mezzo alla rabbia dei carnefici si rivolgeva al Signore e gli rendeva grazie con queste preghiere: «Rendo grazie a Dio. Nel tuo nome, Cristo, Figlio di Dio, libera i tuoi servi».

VI. Il martire pregava così. Il proconsole gli chiese: «Chi ha organizzato, insieme a te, la vostra riunione?». E quello, mentre il carnefice infieriva con maggiore crudeltà, con voce chiara rispose: «Il presbitero Saturnino e noi tutti»O martire, così tu davi a tutti il primato! Non pose, infatti, al primo posto il presbitero, e poi i fratelli, ma mise il presbitero insieme ai fratelli, associandoli nell’unica confessione di fede. E poiché, allora, il proconsole cercava Saturnino, glielo indicò: e fece questo non per tradire il compagno, che egli, peraltro, vedeva bene come stesse combattendo insieme a lui allo stesso modo contro il diavolo, ma perché a quello fosse chiaro che essi avevano celebrato validamente l’assemblea, dal momento che insieme a loro c’era stato anche il presbitero. Intanto, insieme alla voce sgorgava il sangue, mentre supplicava il Signore: ben ricordando l’insegnamento del vangeloil martire chiedeva perdono per i suoi nemici, proprio mentre dilaniavano il suo corpo. E infatti, proprio tra i gravissimi tormenti procurati dalle ferite, con queste parole riprendeva parimenti i suoi torturatori e il proconsole: «Voi agite ingiustamente, o infelici; voi agite contro Dio. O Dio altissimo, non imputare loro questi peccatiVoi state peccando, o infelici; voi agite contro Dio. Osservate i comandamenti del Dio altissimo. Voi agite ingiustamente, o infelici; voi dilaniate degli innocenti. Non abbiamo ucciso nessuno; non abbiamo frodato nessunoDio, abbi misericordia. Ti rendo grazie, Signore; dammi la forza di soffrire per il tuo nome. Libera i tuoi servi dalla schiavitù di questo mondo. Ti rendo grazie; non potrò mai renderti grazie abbastanza». E mentre con maggiore violenza i suoi fianchi venivano incisi dai colpi inferti dagli uncini, e un’onda copiosa di sangue sgorgava a tratti violenti, udì che il proconsole gli diceva: «Comincerai a provare quello che dovete patire». E lui aggiunse: «Per la sua gloria. Rendo grazie a Dio che regna. Vedo già il regno eterno, il regno che non si corrompe. Signore Gesù Cristo, noi siamo cristiani, siamo al tuo servizio; tu sei la nostra speranza, tu sei la speranza dei cristiani». Mentre pregava così, mentre il diavolo per bocca del proconsole continuava a dire: «Avresti dovuto osservare l’editto degli Imperatori e dei Cesari», stremato ormai nel corpo, ma vittorioso nell’animo, con voce ancora forte e ferma proclamò: «Non mi curo se non della legge di Dio che ho appreso. Quella osservo, per quella morirò, in quella per me è il compimento di tutto: fuori di quella non ve n’è un’altra». A queste parole del gloriosissimo martire, era proprio Anulino che ancora di più nei suoi tormenti si tormentava. Quando infine la sua rabbia si fu saziata delle feroci torture, disse: «Basta!». Lo fece chiudere in carcere e lo destinò a una passione degna di tale martire.

3. Martirio di Saturnino di Emerito e di felice: “senza il dominicum non possiamo essere” (capp. X-XII)

X. Intanto il presbitero Saturnino, sospeso sul cavalletto bagnato dal sangue da poco sparso dai martirisi sentiva confortato a restare saldo nella fede di coloro sul cui sangue era disteso. Interrogato se fosse lui il promotore e se fosse stato proprio lui a radunare tutti in assemblea, rispose: «Anch’io fui presente all’assemblea». Egli così diceva, ma intanto il lettore Emerito, balzando al combattimento proprio mentre il presbitero sosteneva la lotta, disse: «Il promotore sono io: è nella mia casa che si sono tenute le assemblee». Ma il proconsole, che ormai già tante volte era risultato sconfitto, vedeva con terrore gli attacchi di Emerito, e pertanto, rivolto verso il presbitero, gli chiese: «Perché agivi contro l’editto imperiale, Saturnino?». E Saturnino gli replicò: «Non si può smettere di celebrare la Pasqua domenicale: così ordina la nostra legge». E allora il proconsole: «Sarebbe stato però tuo dovere non disprezzare il divieto imperiale, ma osservarlo, e non prendere iniziative contro l’editto degli Imperatori». E, con parole che già da tempo aveva imparato ad usare riguardo ai martiri, spronò il torturatore a infierire contro di lui, e questi non fu affatto pigro nell’obbedirgli fedelmente. I carnefici, così, si buttano sul corpo senile del presbitero e, con rabbia furiosa, rotti i legamenti dei nervi, lo dilaniano con supplizi da far gemere, e con torture di nuovo tipo, raffinate, trattandosi di un sacerdote di Dio. Avresti potuto vedere infierire i carnefici come mossi da fame rabbiosa a pascersi di ferite, e, aperte le viscere, con orrore di chi stava a guardare, avresti visto biancheggiare tra il rosso del sangue le ossa messe a nudo. Perché nelle pause tra una tortura e l’altra l’anima non venisse meno sì da abbandonare il corpo, mentre lo attendeva ancora il supplizio, con tali parole il presbitero supplicava il Signore: «Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio. Fa’ che io sia decapitato! Ti prego, Cristo, abbi misericordia. Figlio di Dio, soccorrimi». Intanto il proconsole insisteva: «Perché agivi contro l’editto?». E il presbitero: «La nostra legge così comanda; la nostra legge così insegna» replicò. O risposta davvero ammirevole e divina, degna di un presbitero e dottore che merita ogni lode! Da presbitero predica anche tra i tormenti la santità di quella legge per la quale con gioia sostiene i supplizi. Spaventato a sentir pronunziare la parola ‘legge’, Anulino finalmente disse: «Basta!». Lo fece ricondurre sotto custodia in carcere e lo riservò al supplizio da lui bramato.

XI. Fatto poi venire avanti Emerito, il proconsole gli chiese: «Nella tua casa si sono tenute le assemblee contro l’editto degli Imperatori?». E Emerito, inondato di Spirito Santo, gli rispose: «Nella mia casa abbiamo celebrato la Pasqua domenicale». Quello replicò: «Perché davi il permesso di entrare da te?». Rispose: «Poiché sono miei fratelli e non potevo proibirglielo». Replicò: «Ma proibirglielo sarebbe stato tuo dovere». Ma lui: «Non potevo, perché senza la Pasqua domenicale non possiamo essere». Subito ordina che anche lui sia disteso sul cavalletto e, una volta disteso, sia torturato. Mentre pativa tremendi colpi da parte di nuovi carnefici, che intanto si erano dati il cambio, disse: «Ti prego, Cristo, soccorrimi. E voi, infelici, state agendo contro il comandamento di Dio». Il proconsole lo interruppe: «Non avresti dovuto accoglierli in casa». Rispose: «Non potevo far altro se non accoglierli, perché sono miei fratelli». E il proconsole: «Ma prima veniva l’editto degli Imperatori e dei Cesari». E di contro, il piissimo martire: «Prima viene Dio che è più grande, poi gli Imperatori. Ti prego, Cristo. Ti rendo lode, Cristo Signore. Dammi la forza di patire». Mentre così pregava, intervenne il proconsole: «Hai qualche libro delle Scritture nella tua casa?». Gli rispose: «Le ho, ma nel mio cuore». E il proconsole: «Ma nella tua casa le hai, o no?». Il martire Emerito rispose: «Nel mio cuore le ho. Ti prego, Cristo. A te la lode. Liberami, Cristo: patisco per il tuo nome. Per poco patisco; con gioia patisco, Cristo Signore. Che io non sia confuso». O martire, che, ricordando la parola dell’Apostolo, la legge del Signore la tenne scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivo, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne del suo cuore! O martire degno della legge sacra e suo diligentissimo custode, che avendo in orrore il crimine dei traditori, per impedire la distruzione delle Scritture del Signore, le ripose nel segreto del suo petto! Preso atto di ciò, il proconsole disse: «Basta!» e, mettendo agli atti la sua confessione insieme alla confessione degli altri, disse: «Secondo i vostri meriti e in conseguenza della vostra confessione, pagherete tutti la pena che vi meritate».

XII. La rabbia ferina, sazia dei tormenti dei martiri, la bocca sporca di sangue, dava ormai segni di stanchezza. Ma fattosi avanti al combattimento Felice, tale di nome, ma anche per la sua passione, mentre tutta la schiera del Signore restava salda, incorrotta ed invitta, il tiranno, la mente prostrata, la voce bassa, l’animo e il corpo disfatti, disse: «Spero che voi facciate la scelta che vi permetta di continuare a vivere, quella di osservare gli editti». Di contro, i confessori del Signore, invitti martiri di Cristo, quasi a una sola voce dissero: «Siamo cristiani: non possiamo osservare altra legge se non quella santa del Signore fino all’effusione del sangue». Colpito da queste parole, l’avversario diceva a Felice: «Non ti chiedo se tu sei cristiano, ma se hai partecipato all’assemblea o se hai qualche libro delle Scritture». O stolta e ridicola richiesta del giudice! Gli ha detto: «Non dire se sei cristiano», e poi ha aggiunto: «Dimmi invece se hai partecipato all’assemblea». Come se un cristiano possa essere senza la Pasqua domenicale, o la Pasqua domenicale si possa celebrare senza che ci sia un cristiano! Non lo sai, Satanache è la Pasqua domenicale a fare il cristiano e che è il cristiano a fare la Pasqua domenicalesicché l’uno non può sussistere senza l’altra, e viceversa? Quando senti dire “cristiano”, sappi che vi è un’assemblea che celebra il Signore; e quando senti dire “assemblea”, sappi che lì c’è il cristianoInsomma è il martire che ti fa il processo e ti mette in ridicolo. Per la sua risposta sei tu a rimanere battuto. «L’assemblea – disse – l’abbiamo celebrata con ogni solennità, e per leggere le Scritture del Signore siamo sempre convenuti nella Pasqua domenicale». Anulino, gravemente confuso da questa professione di fede, fa battere il martire con le verghe, fino a che quello, esanime, compiuta la sua passione, si unì, raggiungendo in fretta i seggi tra gli astri, all’assemblea celeste. Ma a quel Felice segue un altro Felice, uguale nel nome e nella professione di fede, simile a lui nella passione. Venuto infatti a combattimento, con pari valore, anche lui squassato dalle battiture delle verghe, spirato in carcere tra i tormenti, fu associato al martirio del primo Felice.

4. Anche le donne tra i martiri: il martirio della vergine Vittoria (cap. XVI)

XVI. Non poteva il piissimo sesso femminile, né il coro delle sacre vergini, essere privato della gloria di sì nobile combattimento: tutte le donne, con l’aiuto di Cristo Signore, nella persona di Vittoria vennero a combattimento e conseguirono la corona. Vittoria, infatti, la più santa fra le donne, il fiore delle vergini, onore e dignità dei confessori del Signore, nobile di nascita, santissima per la pietà, temperante nei costumi, nella quale i doni naturali risplendevano per il candore della sua purezza, e alla bellezza del corpo corrispondeva più bella la fede dello spirito e l’incontaminatezza della santità, si rallegrava di dover conseguire (dopo quella della verginità) una seconda palma, come martire del Signore. In lei, infatti, già dall’infanzia rifulgevano luminosi i segni della sua purezza, e già in età di fanciulla era manifesto il rigore della sua castissima anima, e, in qualche modo, la dignità della futura passione. Infine, dopo che nella pienezza della sua verginità raggiunse l’età adulta, i genitori volevano costringerla, pur contro la volontà e l’opposizione della ragazza, alle nozze, e le stavano dando i genitori, suo malgrado, uno sposo; per sfuggire al ‘predone’, la ragazza, di nascosto, si era gettata giù da un precipizio, ma sostenuta da brezze leggere venute in suo soccorso, l’aveva accolta incolume la terra nel suo grembo. Né avrebbe potuto in seguito patire anche per Cristo Signore, se fosse morta allora solo per preservare la sua purezza. Liberata pertanto dalle fiaccole nuziali, ed elusi insieme i genitori e il promesso sposo, balzando via quasi dal bel mezzo della celebrazione stessa delle nozze, si rifugiò, incontaminata vergine, nella chiesa, tempio di purezza e porto di castità; e lì con illibata purezza custodì in perpetua verginità la sacratissima chioma del suo capo consacrato e votato a Dio. Lei dunque, affrettandosi al martirio, portava come palma trionfale nella destra il fiore della sua purezza. E al proconsole, che l’interrogava sulla sua fede, con voce chiara rispose: «Sono cristiana». Il fratello Fortunaziano, uomo togato e suo difensore, diceva con vane argomentazioni che lei era uscita di mentema Vittoria rispose: «La mia mente sta ben salda in me, e non sono mai cambiata». Il proconsole le replicò: «Vuoi andare via con tuo fratello Fortunaziano?». Rispose: «Non voglio, perché sono cristiana: i miei fratelli sono quelli che osservano i precetti di Dio». O fanciulla fondata sull’autorità della legge divina! O vergine gloriosa degnamente consacrata al Re eterno! O martire beatissima, così glorificata dalla sua professione di fede fondata sul vangelo, che rispose con le parole stesse del Signore: «I miei fratelli sono coloro che osservano i precetti di Dio». Udito ciò, Anulino mise da parte l’autorità del giudice e scese a parole persuasive con la fanciulla: «Pensa a te – le disse -. Tu vedi che tuo fratello con tanto ardore si preoccupa della tua salvezza». Ma la martire di Cristo gli replicò: «La mia mente sta ben salda in me, e non sono mai cambiata. Ho partecipato anch’io all’assemblea e ho celebrato la Pasqua domenicale con i fratelli, perché sono cristiana». Appena ebbe udito ciò, Anulino, agitato dalle furie, arse d’ira; relegò in carcere insieme agli altri la santissima fanciulla martire di Cristo e tutti destinò alla passione del Signore.

5. Anche i fanciulli tra i martiri: il martirio di Ilarione (cap. XVII)

XVII. Ma restava ancora Ilarione, uno dei figli del presbitero martire Saturnino, che appariva più grande della sua tenera età a motivo della sua grande devozione. Egli, avendo fretta di unirsi ai tormenti di suo padre e dei suoi fratelli, era ben lontano dal provare terrore per le terribili minacce del tiranno, e anzi non le tenne in nessun conto. Gli veniva chiesto: «Hai seguito tuo padre e i tuoi fratelli?». E prontamente da quel piccolo corpo viene fuori una voce giovanile; il minuto petto del fanciullo si apre tutto alla confessione del Signorecon questa risposta: «Sono cristiano, e di mia spontanea volontà ho partecipato all’assemblea con mio padre e con i miei fratelli». Ti sarebbe parso di sentire la voce di suo padre, il martire Saturnino, venir fuori dalla bocca del suo dolce figlio, e la sua lingua confessava Cristo Signore sicura dietro l’esempio del fratello. Ma il proconsole, stolto, non capiva che contro di lui, non gli uomini, ma Dio stesso combatteva nei suoi martiri, né comprendeva che in quella età di fanciullo c’era un animo di adulto; e riteneva che il fanciullo potesse essere spaventato con quelle minacce che spaventano di solito i bambini. E così gli disse: «Ti taglierò i capelli, il naso e le orecchie, e poi ti lascio andare così». Ma a queste minacce il piccolo Ilarione, già glorioso per le virtù mostrate dal padre e dai suoi fratelli, lui che aveva imparato già dai suoi a disprezzare i tormenti, con voce chiara rispondeva: «Fa’ pure tutto quello che vuoi fare, perché io sono cristiano». Si dà subito ordine che sia messo in carcere anche lui, e si sente la voce di Ilarione che dice con grande gaudio: «Rendo grazie a Dio», Qui viene portata a compimento la lotta del grande combattimento. Qui il diavolo viene battuto e vinto. Qui si allietano i martiri di Cristo, rallegrandosi in eterno per la gloria futura destinata alla loro passione.

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Giuseppe Longo

Latest videos