Tommaso d’Aquino – 2^ parte

Continua con questo contributo la serie di articoli su temi eucaristici in vista del 27° Congresso Eucaristico Nazionale che Matera ospiterà dal 22 al 25 settembre 2022. Siamo alla seconda parte dell'approfondimento su S. Tommaso d'Aquino sempre ad opera del filosofo Gaetano Masciullo, studioso di di questo dottore della Chiesa e divulgatore teologico-filosofico.

La dottrina eucaristica… spiegata semplice!

Nella scorsa puntata, qui disponibile, abbiamo iniziato a conoscere questo grande santo e Dottore della Chiesa, san Tommaso d’Aquino, “l’Apostolo della Verità”, come l’ha chiamato san Giovanni Paolo II in una delle sue encicliche più famose.

Abbiamo anche visto che, poco tempo prima della sua morte, il santo domenicano ebbe conferma, durante un’estasi mistica, nientemeno che direttamente da Dio, circa l’esattezza di quanto aveva studiato e scritto nel trattato sull’Eucarestia, all’interno del più generico capolavoro della Summa Theologiae.

In vista del Congresso Eucaristico, proviamo a leggere e capire insieme i passaggi salienti dell’insegnamento tommasiano su questo grande Sacramento, principio e apice della vita cristiana.

Vita della carne, vita dello spirito

Il punto di partenza della riflessione di san Tommaso è molto profondo. La visione dell’essere umano che egli possiede non è ovviamente materialista – non riduce cioè l’uomo alla sola carne e alle sole leggi biochimiche, che pure ci sono e sono importantissime e degne di attenzione – ma non è neppure spiritualista – non riduce cioè l’essenza dell’uomo al suo spirito immortale, come se quest’ultimo fosse un pilota all’interno di un’automobile, pronto a “liberarsi” al momento della morte corporale.

L’essere umano è appunto – nella visione più generale cattolica e usando la terminologia di san Paolo di Tarso, destinato e voluto da Dio come unità inscindibile di carne (sàrx), anima (psykè) e spirito (pnèuma). San Tommaso insegna che “l’unione di anima e corpo causa la persona umana” (S. Th. III, q. 2, a. 5, arg. 1).La parola “anima”, in san Tommaso, corrisponde – assai grossomodo – a quella che oggi noi chiamiamo “mente”. E quello che noi oggi chiamiamo spirito corrisponde, nel pensiero di san Tommaso, alla “parte alta” della nostra anima, quella sua unica parte immortale, fatta di intelletto e volontà. La carne con le sue membra e l’anima (con tutte le sue “parti basse”, i nostri istinti e la fantasia, moriranno, ma lo spirito sopravvivrà, in attesa però della Resurrezione finale, dove anche le prime due saranno riportate in vita, ma in una forma nuova, gloriosa, che oggi non possiamo neanche immaginare. Spesso infatti dimentichiamo che, in quanto cristiani, siamo sostanzialmente questo: testimoni della resurrezione.

Se il corpo e lo spirito sono così inscindibilmente uniti, allora – scrive san Tommaso – è giusto che la vita di uno sia il riflesso della vita dell’altro. Per di più, l’uomo può conoscere tutto ciò che è fuori di lui solo a partire dai sensi (proprio tutto, quindi anche le cose spirituali e invisibili che riguardano Dio): per intenderci, dai cinque sensi di vista, udito, olfatto, gusto e tatto. Le conoscenze provenienti dai sensi sono poi rielaborate da quelli che il teologo domenicano chiama “sensi interni” e quindi dall’intelletto. Ma non è questo il momento per approfondire l’insegnamento di san Tommaso sul processo conoscitivo dell’uomo. Ci basti sapere che, per capire come vive lo spirito, dobbiamo analizzare il modo con cui vive il corpo.

Ora, noi vediamo che ogni corpo nasce, cioè è generato da un altro corpo simile al nostro (in altre parole, dai nostri genitori). Anche nella vita spirituale c’è una generazione: il Sacramento del Battesimo, che ci rifà a immagine di Dio. Per questo motivo è il primo, in ordine cronologico, dei Sacramenti. C’è poi una seconda operazione della vita corporale: la crescita, dove l’organismo è portato a raggiungere la forza e la grandezza prestabilite dalla genetica. Nella vita spirituale, questo corrisponde al Sacramento della Confermazione, in cui lo Spirito Santo ci dona quanto necessario per raggiungere la perfezione del nostro spirito. Infine, c’è il nutrimento, con il quale il corpo conserva e rinnova l’energia. A livello spirituale, ciò è corrisposto dal Sacramento dell’Eucarestia. Per questa ragione, san Tommaso scrive che esso è stato istituito da Gesù «per nutrire in modo spirituale tramite l’unione con Cristo e con le sue membra, come il nutrimento si unisce a chi se ne nutre» (S.Th. III, q. 79, a. 5, co.).

Come il primo effetto del cibo è quello di aumentare l’energia, così il primo effetto dell’Eucarestia è quella di aumentare la grazia, ma in maniera diversa dal modo con cui aumenta nella Confermazione: in quest’ultima, infatti, «la grazia aumenta e si perfeziona, per resistere contro gli assalti esterni dei nemici di Cristo», in quella invece «un uomo [diventa] perfetto in se stesso tramite l’unione con Dio» (Ibidem, ad 1).

La materia dell’Eucarestia

Aristotele aveva insegnato secondo verità che ogni cosa che esiste è composta di materia e forma. Questo concetto fondamentale della filosofia è in realtà molto semplice da comprendere. La forma è quella caratteristica peculiare e unica che rende una certa cosa quella che è (e non altro), mentre la materia è ciò sul quale la forma si “applica”. Per esempio, se consideriamo il David di Michelangelo, diremo che la forma è l’immagine che lo scultore Michelangelo aveva di David nella sua testa, mentre la materia è il marmo; se consideriamo l’essere umano, la forma dell’uomo è la razionalità, mentre la materia è la carne.

Anche i sacramenti – come ogni cosa che esiste – hanno una materia e una forma. Nel caso dell’Eucarestia, la materia è costituita dalle due specie (come si dice in teologia) del pane e del vino. San Tommaso si chiede, come farebbe un bambino: ma perché Gesù ha scelto due specie e non una sola? Non gli era forse sufficiente solo il pane o solo il vino? La risposta è assai interessante.

Il Sacramento vuole essere segno di una realtà spirituale, sacra e invisibile. L’Eucarestia vuole essere segno della passione e morte di Cristo, la quale ha determinati effetti su coloro che decidono di accettarne i meriti tramite il Battesimo. In quanto segno, Dio ha voluto che il sacramento fosse massimamente “conveniente” per gli uomini, cioè adatto a trasmettere un determinato insegnamento. Ora, la morte è meglio rappresentata da due specie – cioè tipologie – diverse di alimenti, perché la morte è la separazione della carne dallo spirito dell’uomo. E anche Cristo ha sperimentato questa separazione, visto che è morto in croce ed è rimasto tre giorni nel sepolcro. Ora il pane rappresenta la carne, mentre il vino il sangue, che nella mentalità ebraica rappresenta la stessa vita, cioè lo spirito immortale dell’uomo. Infatti, diciamo che Cristo sulla croce “ha versato il sangue per noi” per dire che ha donato la sua stessa vita.

Inoltre, l’Eucarestia doveva significare il Sacramento della completezza e, infatti, noi vediamo che il nutrimento del corpo esige due tipologie di alimento: un alimento secco che soddisfa l’istinto della fame e un nutrimento umido che soddisfa l’istinto della sete. Così anche l’Eucarestia deve soddisfare integralmente la “fame e sete della grazia di Cristo” che ha il credente.

E ancora: perché Cristo ha scelto proprio il pane per significare la propria carne, e non piuttosto la carne di qualche animale (cosa che sarebbe sembrata più indicata), e perché proprio il vino e non ad esempio il succo d’uva o l’acqua? In effetti, in passato, molte sette avevano deciso di celebrare in maniera diversa questo Sacramento di salvezza. Gli artotiriti, ad esempio, di cui ci parla sant’Agostino, offrivano a Dio il formaggio al posto del vino. I catafrigi e i pepuziani (altre due sette) prelevavano alcune gocce di sangue dalle dita di bambini, simbolo di innocenza, e le mescolavano con la farina per farne delle pagnotte. La ragione della scelta del pane – e non un pane qualsiasi: deve essere pane di grano! – e del vino è, secondo san Tommaso, assai semplice da spiegare: sono gli alimenti più usati dagli uomini (e quelli più idonei) per raggiungere la sazietà.

I fedeli più attenti avranno anche notato che il sacerdote aggiunge nel vino, prima della consacrazione, qualche stilla d’acqua. Questa pratica risale all’età apostolica e san Tommaso si interroga sul suo significato, interrogando i grandi Padri e Dottori della Chiesa vissuti prima di lui. L’Eucarestia, infatti, se da un lato simboleggia e allo stesso tempo è realmente Gesù Cristo in carne, sangue, anima e divinità; dall’altro lato simboleggia (senza essere realmente), in quanto sacramento d’unità, l’unione di Cristo e della sua Chiesa. Infatti, l’Eucarestia viene distribuita ai fedeli, cioè alla Chiesa, per unirli a Cristo. Se nel nutrimento corporale osserviamo che ciò che ingeriamo viene digerito e dunque scompare a vantaggio di chi ha mangiato, nel nutrimento spirituale osserviamo l’esatto contrario. Colui che mangia – cioè il fedele – “scompare”, per così dire, cioè partecipa alla vita gloriosa di Gesù Cristo: questa partecipazione è la comunione dei santi, detta appunto “corpo mistico di Cristo”. Allora la poca acqua mescolata con il vino rappresenta l’unione dei fedeli a Cristo, “piccoli” in confronto alla maestà del loro Dio.

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Gaetano Masciullo

Gaetano Masciullo (1993) ha conseguito la laurea triennale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari discutendo una tesi dal titolo "Dai sensi a Dio. Gnoseologia di Tommaso d’Aquino" (2017) e poi la laurea magistrale presso l’Università della Svizzera italiana di Lugano con una tesi dal titolo "The temporality of Passions. Thomas Aquinas and the Role of Time in the Account of Human Passions" (2019). Giornalista freelance e assistente editoriale presso diverse Case editrici italiane, si occupa anche di divulgazione filosofica e teologica (gaetanomasciullo.altervista.org). I suoi campi di interesse in ambito filosofico spaziano dalla storia della filosofia medievale all’antropologia aristotelico-tomistica al pensiero politico libertario e austriaco. È caporedattore della rivista di scienze storiche e sociali «StoriaLibera».

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