Stellantis e il futuro dello stabilimento automobilistico di Melfi

A rischio la produzione industriale e i livelli occupazionali

Come sappiamo, ai primi di gennaio di quest’anno il gruppo FCA, sorto dalla fusione di Fiat e Chrysler, ha dato vita a un nuovo gruppo industriale con i francesci di PSA. L’obiettivo era quello di raggiungere una posizione dominante tra i produttori mondiali del settore automotive. Da questa nuova fusione sorgeva Stellantis. La ragione dicharata di questa operazione stava nella complementarietà delle realtà di FCA e PSA, cosa che avrebbe favorito un’ottimizzazione dei complessi processi produttivi e una migliore penetrazione del mercato.

La nuova realtà industriale sembrava caratterizzata da un sostanziale equilibrio tra la componente francese e quella italiana. Sono bastati però pochi mesi a far emergere una realtà ben diversa, che deludeva le attese, almeno quelle più ottimistiche.

Infatti, sia per il difficile momento che si sta attraversando a causa della pandemia sia per altri fattori, pare difficile che Stellantis riuscirebbe oggi a collocarsi tra i gruppi industriali più importanti del settore automotive e non è scongiurato il rischio di finire confinati in un ruolo di secondo piano, nonostante la forza derivante dall’avere sotto il proprio controllo ben quindici marchi automobilistici e un gran numero di operatori nel campo della componentistica.

Altra situazione che ha deluso le aspettative iniziali è quella societaria, concepita come una partecipazione paritaria tra francesi e italiani. In realtà, andando a verificare la consistenza della partecipazione italiana, si può notare che se da un lato è vero che gli Agnelli con la Exor sono azionisti di maggioranza, il loro pacchetto azionario non va molto oltre il 14 per cento, al quale c’è da aggiungere ben poco altro da parte di azionisti italiani minori.

Nessuno può illudersi che questo sbilanciamento a favore dell’azionariato francese non potrà che avere concrete conseguenze sulla localizzazione della produzione industriale. E se mai tali illusioni possano esserci state, sono subito crollate con le prime dichiarazioni dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares. Il quale, dopo aver visitato le fabbriche italiane, compreso lo stabilimento di Melfi, ne avrebbe ricavato un giudizio non molto positivo, per gli elevati costi industriali rispetto agli impianti di altri paesi, il doppio rispetto a Spagna e Francia.

Questa suona anche come una beffa, dal momento che i salari in Italia sono certamente inferiori alla media europea. Ma cosa fa lievitare i costi di produzione nell’industria italiana se ciò non può essere imputabile ai salari? Purtroppo la politica italiana ha sempre eluso questa cruciale domanda. E su questo, ovviamente, i francesi c’entrano ben poco.

Quale sarà dunque il destino degli impianti in Italia e di quello di Melfi in particolare? Nella fabbrica lucana, Stellantis occupa settemila dipendenti e un numero significativo di addetti si registra nell’indotto. Complessivamente, si tratta di non meno di undicimila lavoratori. Per undicimila famiglie si presentano oggi, pertanto, incognite non trascurabili.

È una situazione, tra l’altro, destinata a non pesare esclusivamente sulle famiglie che sarebbero direttamente coinvolte nella malaugurata crisi aziendale, ma sull’economia lucana nel suo complesso. Gli impianti produttivi di Melfi, infatti, contribuiscono con oltre il 20 per cento al PIL regionale. Il settore automotive, insieme alle attività estrattive e al turismo, è uno dei tre pilastri fondamentali dell’economia regionale.

Cosa succederà nel caso l’economia lucana dovesse vedere venir meno questo importante supporto? Lo scenario che si aprirebbe sarebbe davvero cupo se si considera che in Basilicata la pandemia ha già provocato un calo del 2 per cento di occupati, percentuale destinata ad aumentare non di poco quando sarà revocato il blocco dei licenziamenti. In una regione che inoltre vede da molti anni diventare sempre più consistenti i flussi di emigrazione, soprattutto giovanile, le prospettive di una ripresa si ridurrebbero drammaticamente.

Non è facile immaginare una ripresa economica in un momento difficile come quello attuale. Per difendere i livelli occupazionali a Melfi, inoltre, questo è ancora più difficile. Ma forse una strada da percorrere c’è ed è la strada di una maggiore equità nei rapporti tra Stellantis e l’intera comunità lucana. Forse la soluzione si può trovare proprio in questa equità.

L’equità come soluzione

Fin dall’insediamento dell’industria automobilistica a San Nicola di Melfi, la Regione Basilicata ha sostenuto in maniera consistente questa attività industriale. Non sarebbe giusto dimenticare il suo impegno iniziale, veramente straordinario, per la formazione degli addetti, come non sarebbe giusto trascurare il notevole sacrificio ambientale che un insediamento industriale del genere ha comportato, per altro in un territorio con colture agricole di pregio e di antichissima tradizione, zona di produzione di uno dei vini più apprezzati d’Italia.

Come ha affermato il presidente della Regione, Vito Bardi, lo Stato italiano e la Regione Basilicata hanno dimostrato negli anni di voler sinceramente sostenere lo sviluppo dell’industria manifatturiera. «L’azienda» ha ricordato Bardi, «ha avuto di recente accesso ad un finanziamento di 6,3 miliardi, interamente garantito dallo Stato italiano, nell’ambito del decreto liquidità del Governo Conte 2, e ha sottoscritto un contratto di sviluppo con il MISE e con Invitalia, per un investimento da 136 milioni di euro per produrre la Compass Plug-in Hybrid proprio in Basilicata. Di questi, circa 20 milioni sono contributi pubblici a fondo perduto. 2 milioni sono provenienti dal bilancio della Regione Basilicata e finalizzati, in particolare, a attività di ricerca che dovranno svolgersi nel campus di San Nicola di Melfi, oggi Plan Academy, anche esso finanziato con 14 milioni della Regione Basilicata tra il 2012 e il 2015».

Saranno onorati da Stellantis gli impegni presi a suo tempo da FCA su questo tipo di investimenti da fare localmente? I primi segnali non sono incoraggianti per la mancata partenza del terzo turno negli stabilimenti di Melfi, dove addirittura si teme per la definitiva chiusura di un’intera linea produttiva.

Certo, anche da parte italiana ci deve essere maggiore lealtà. Non si possono ignorare le difficoltà che le aziende, grandi o piccole, devono affrontare in Italia nello svolgimento delle proprie attività. Difficoltà create da un mainstream, come quello italiano, che ha sempre guardato con diffidenza se non con disprezzo alla libera iniziativa e che impone un innaturale antagonismo tra pubblico e privato, due distinte realtà che in un sistema economico sano dovrebbero invece garantire massima collaborazione e cooperare al bene comune.

Tra le ragioni che rendono così onerosa l’attività industriale in Italia ci sono indubbiamente il peso del fisco e il costo dell’energia. Soprattutto dal punto di vista di un investitore straniero, deve apparire eccessivamente gravosa un’imposizione fiscale come quella italiana, particolarmente in un territorio come quello lucano povero di infrastrutture e dove l’assenza dello Stato è palpabile. Per quanto riguarda l’energia, che è una delle voci più importanti nella produzione industriale, purtroppo l’industria italiana dipende fortemente dalle importazioni dall’estero. È evidente che importando energia dalla Francia, i costi della produzione industriale saranno in Italia necessariamente maggiori che in quel paese.

Ciò è sotto gli occhi di tutti ed è un buon segnale che il Consiglio Regionale della Basilicata abbia recentemente approvato all’unanimità una risoluzione con la quale, in stretto rapporto col governo nazionale, si impegna a trovare una via d’uscita a questi annosi problemi, ponendo anche a tema l’esigenza di potenziare le infrastrutture, particolarmente il collegamento degli stabilimenti di Melfi all’alta velocità della rete ferroviaria nazionale sia per il trasporto merci sia passeggeri.

«Contro l’inequità» hanno scritto i vescovi lucani in un comunicato del 21 aprile, «si può agire efficacemente mantenendo le migliori condizioni di occupabilità, là dove sono stati effettuati importanti investimenti economici e formativi per le lavoratrici e i lavoratori dell’indotto industriale di Melfi negli ultimi decenni».

Il comunicato dei vescovi lucani

I Vescovi delle Chiese di Basilicata, attraverso la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, intendono manifestare la loro vicinanza a tutti i dipendenti del polo industriale di Melfi, che soffrono per le recenti notizie circa i tagli di una linea produttiva e, di conseguenza, tagli dell’occupazione per migliaia di lavoratrici e lavoratori.

Un’economia che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza” (Papa Francesco, «Videomessaggio ai partecipanti all’incontro “The Economy of Francesco – I giovani, un patto, il futuro”», 21 novembre 2020) è l’economia necessaria per lo sviluppo della nostra terra di Basilicata.

Auspichiamo un ripensamento da parte dei vertici di Stellantis.

Un’ideologia economica che ha posto al centro del nostro vivere sociale la competizione di tutti contro tutti non determina il bene della persona umana.

“L’inequità è la radice dei mali sociali” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 202).

Contro l’inequità si può agire efficacemente mantenendo le migliori condizioni di occupabilità, là dove sono stati effettuati importanti investimenti economici e formativi per le lavoratrici e i lavoratori dell’indotto industriale di Melfi negli ultimi decenni. Tali investimenti hanno creato storie personali e collettive di cui noi tutti siamo testimoni. Sono investimenti che hanno destato il senso del riscatto individuale e collettivo, il quale tanta influenza positiva ha avuto sulla Basilicata. Sono investimenti che hanno determinato vocazioni professionali e scelte di miglioramento individuali e collettive che non possono essere tranciate da scelte che non sanno coniugare il bene della persona con le libertà di iniziativa privata.

Al centro del vivere sociale, ovunque, anche in Basilicata, non si deve porre la concorrenza, ma la solidarietà, la fedeltà agli impegni assunti con i lavoratori insieme all’iniziativa privata. Questa è la via maestra che anche la nostra Costituzione indica: senza tale bilanciamento tra dignità umana e mercato nessuna istituzione imprenditoriale ha successo. Se qualcosa si rompe da un lato, dall’altro si distrugge più di quanto si possa ipotizzare.

“La realtà è più importante dell’idea”, scrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (EG 231-233). Uno dei maggiori problemi dell’economia globale è che si basa su modelli che ignorano la realtà materiale.

Qui, nella nostra terra lucana, la realtà determinata dagli investimenti industriali nel settore automobilistico è visibile a tutti: si tratta di tutto ciò che incide su famiglie, persone, giovani, anziani, lavoratrici, lavoratori, redditi, formazione, visione del futuro e speranza.

Non si facciano scelte solo per interesse. Si abbia il coraggio di guardare lontano e di credere nel rinnovamento che costruisce un futuro migliore per tutti.

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Paolo Tritto

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