Afghanistan: storie di persone senza futuro

Il vuoto umano di Kabul, dopo il ritiro degli americani e dei suoi alleati occidentali, evidenzia tutta la drammaticità di un paese smarrito tra speranze perdute e prospettive di ritorno al passato.

In questi infuocati giorni di agosto del 2021 tutto il mondo è preso dalla vicenda della “fuga” degli americani e loro alleati dall’Afghanistan. Tante sono le considerazioni sui motivi di questo disimpegno occidentale, con particolare riguardo alle conseguenze disastrose sul popolo afgano.

Il pensiero va soprattutto al gesto di tante mamme che dall’esterno del muro di cinta dell’aeroporto porgono i loro figlioletti ai militari occidentali situati dall’altra parte. Questi gesti estremi sono causati dalla speranza di poter offrire ai loro piccoli un futuro migliore in occidente nonostante restino senza l’amore delle mamme. A ben pensare questo gesto delle mamme è un vero e proprio suicidio affettivo, una scelta di morire dentro, di sopprimere la funzione genitoriale materna nella certezza di fare il bene dei loro figlioletti. Un comportamento innaturale che forse fa ben comprendere la portata del dramma che stanno vivendo gli afgani.

Nel caos attuale (e ci auguriamo che ad emergenza cessata ritorni una certa normalità nella vita quotidiana delle donne e degli uomini afgani) i tempi e le modalità di vita sono scanditi dal nuovo regime che si caratterizza nel voler dare una interpretazione più radicale della legge coranica. La prima sharia, di cui riferiscono le cronache di questi giorni, imporrebbe il divieto alle donne di studiare o lavorare; i commentatori politici  ritengono che, peraltro,  il governo talebano in questo momento stia facendo il tentativo di mostrare una faccia più presentabile al mondo e ciò al fine di ottenere legittimità ed evitare l’isolamento internazionale. Come si metteranno le cose in particolare dopo il 31 agosto, termine ultimo concesso dal governo talebano ad americani e loro alleati di lasciare il paese, non è facile da capire perché molte sono le divisioni e le contrapposizioni..

Intanto, nella confusione di questi giorni si consumano tanti piccoli drammi familiari quali quello descritto dei bambini che vengono lanciati ai soldati occidentali in fuga, quello di giovani professionisti che si erano impossessati di tecniche e competenze per nuovi lavori tecnologici destinati oggi ad abbandonare, quello dei ragazzi che si erano lanciati nel campo delle arti quali la musica e il ballo e che oggi devono semplicemente dimenticare tutto perché la musica é proibita, di giornalisti e intellettuali perché da oggi esiste solo la comunicazione governativa. Devono scomparire costumi e modalità di vita all’occidentale, la libera interazione tra giovani di sesso diverso (visto che una delle prime proibizioni imposte alle donne è quella di non poter studiare insieme ai compagni maschi). Infine, quello che è peggio, tantissime persone che hanno collaborato con gli occidentali vivono nella paura di perdere la vita.

Infine, per gran parte della popolazione sarà impossibile uscire dal paese avendo il governo provvisorio già annunciato che potranno andare via solo gli occidentali mentre gli afgani dovranno restare nel loro paese. Intanto, in migliaia continuano ad essere assiepati lungo la recinzione dell’aeroporto nella speranza di potersi imbarcare su un aereo o almeno di compiere il gesto ultimo di “lanciare” un proprio figlio a persone di buon cuore. Ma da parte dei militari e diplomatici occidentali c’è anche il rischio di prendersi qualche pallottola nel caos generale che si é creato; un esempio valido per tutti è quello del nostro connazionale, il Console italiano a Kabul Tommaso Claudi, che in questi ultimi giorni “di Pompei” si dà da fare senza respiro per “traghettare” quanti più bambini possibili al di là del muro. 

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Domenico Infante

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