”Andate avanti, sempre in movimento, non fermatevi mai”

Si rivolgeva così Papa Francesco ai partecipanti al III Convegno mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità invitandoli ad una conversione missionaria (Roma 22 novembre 2014). È una responsabilità e un compito che si ripropone ad ogni nuovo inizio di anno sociale.

C’era una volta un vivace dibattito sul rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo sollecitato dalle cosiddette “aperture” del Concilio Vaticano II; iniziò poi la stagione dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità che dell’esigenza di rinnovamento si fecero carico e spesso profeticamente lo anticiparono.


Dopo l’intervento del Dicastero vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita che ha stabilito, a garanzia della libertà di associazione dei fedeli, che i vertici alla guida di movimenti e nuove comunità siano rinnovati ogni cinque anni (Decreto del Cardinale Kevin Farrelll) è tornato argomento di discussione il rapporto tra autorità della Chiesa come istituzione e Carismi, quei doni particolari suscitati dallo Spirito a beneficio di tutti.


Da parte di alcuni commentatori il tema è stato mal posto: c’è chi ha voluto vedere una contrapposizione, di fatto inesistente, con la Chiesa istituzione che tenderebbe a ridimensionare l’esperienza dei movimenti; chi invece, partendo da un’analisi sociologica e postulando l’assoluta imprevedibilità e preminenza dello Spirito, ha giudicato ormai al tramonto le forme tradizionali di comunità, sia espresse da ordini religiosi di secolare tradizione che da movimenti ecclesiali di più recente fondazione.


In verità la questione che dovrebbe interpellare credenti e non credenti è ben più radicale: la domanda, prima che sulla natura della Chiesa, è sulla ragionevolezza della fede “dentro un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto” ( da Il rischio educativo di Don Giussani).


La risposta non potrà essere trovata nei salotti di intellettuali e benpensanti, nè nel campo delle riflessioni teologiche: essa esige un cammino personale di riscoperta di se dentro l’esperienza della vita quotidiana, non priva di drammi e contraddizioni.


Senza la riscoperta e il coraggio di dire “io”, come ha documentato il Meeting di Rimini di quest’anno, non potrà esserci quell’assunzione di responsabilità personale di fronte alle sfide del nostro tempo.


Ma cosa può ridestare l’io se non l’incontro con realtà vive di persone e comunità capaci di suscitare una irresistibile attrattiva?


Fu questa l’esperienza dei primi che incontrarono Cristo e lo seguirono, non per affinità di pensiero, ma perché catturati dalla sua persona.


Papa Francesco ha sempre additato il sogno di un nuovo umanesimo, con una Chiesa in uscita e sempre in movimento, pronta a curare le ferite di quanti incontra nelle periferie esistenziali del mondo.


Parlando di questo “progetto” alla Radio Vaticana padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, con molto acume ha fatto notare che – Papa Francesco non vuole riformare la Chiesa, ma piuttosto riportare sempre di più Cristo al centro. Sarà poi Lui a fare le riforme -.


Non c’è compito più urgente per ognuno di noi che farci imitatori di Cristo sull’esempio dei santi con la serena certezza che “nè chi pianta nè chi irriga vale qualcosa ma Dio che fa crescere” (I Corinzi, 3-7).

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Erasmo Bitetti

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