A conclusione del Congresso Eucaristico Nazionale di Matera ci vogliamo chiedere cosa ha lasciato questo evento, cosa ha lasciato al suo passaggio. Abbiamo visto un popolo che si è mosso, che si è radunato, non per aderire a un’idea o a un’istanza sociale. Ma un popolo che si è mosso per andare dietro a una persona. A una persona che, evidentemente, è presente ed è viva. A Cristo risorto.
Cristo rivela la sua resurrezione in tante maniere. La sua espressione più discreta, ma forse la più convincente, è vedere Cristo risorto nei tanti volti del popolo che egli raduna, nella pace di coloro che gli appartengono, nella letizia che hanno mentre seguono lui. In ognuna delle persone che sono accorse al Congresso Eucaristico – si può prendere per esempio l’immagine dei tredicimila al campo sportivo – c’erano gli stessi problemi di tutti gli uomini, e quei problemi avevano lo stesso peso che hanno in tutti gli uomini; c’erano le stesse sofferenze, l’urgenza degli stessi bisogni. Ma c’era anche questa loro misteriosa letizia. Misteriosa perché è una letizia che rinasce, che risorge dai problemi, dalle sofferenze, dalle emarginazioni, dalle angosce, dai bisogni che sono gli stessi di tutti gli uomini.
Questa letizia, che più comunemente nella Chiesa si chiama pace, ha in sé una prima, immediata reazione: la gratitudine. Diciamo innanzitutto grazie al nostro arcivescovo, a don Pino; perché ha creduto. Non è facile credere. Almeno non lo è quando si tratta di credere che qualcosa di grande possa accadere. Più precisamente, Don Pino ha creduto che il suo gregge avrebbe riconosciuto la voce del buon pastore che lo chiamava. Ha creduto – passi il gioco di parole – che la sua Chiesa avrebbe creduto. Immaginiamo quanto questo sia ancora più difficile. Ma è accaduto.
“Beata te che hai creduto”. Qui si capisce anche perché la Chiesa di Matera e Irsina ha creduto. Perché questa espressione “beata te che hai creduto” è inserita nella scena della Visitazione che domina, che caratterizza la spiritualità materana e che nel popolo si esprime prepotentemente nella festa della Bruna. Ne era ben consapevole l’arcivescovo quando, a conclusione della processione, ha riproposto la stessa scena della Visitazione dove “il nostro sguardo, la nostra mente e il nostro cuore hanno fatto danzare il nostro corpo di gioia, proprio come Giovanni Battista nel seno di Elisabetta”.
“Torniamo al gusto del pane” è stato il tema del Congresso. Ma si torna al pane eucaristico – è stato detto tante volte in questa circostanza – per spezzare il pane. Si comprende da questo che se si spezza il pane è perché lo si divide con qualcuno; con più di qualcuno, con un popolo intero. E questo ci fa capire che dietro l’eucaristia c’è sempre un popolo. Non potrebbe essere diversamente. Dobbiamo dire grazie a chi ha creduto in questo Congresso perché nel Congresso questo si è visto benissimo. Si è vista la forza che ha l’eucaristia di generare un popolo, di radunare un popolo. Di essere popolo. Perché fin dall’inizio della storia della salvezza, Dio ha scelto un popolo. Poteva scegliere un re – un leader, diremmo oggi – ma non l’ha fatto. Ha voluto chiamare un popolo. Anche la salvezza che proviene dall’Eucaristia è legata evidentemente a un’esperienza di popolo.
Si potrebbe aggiungere che come l’eucaristia, anche il popolo di Dio viene spezzato per essere distribuito; in modo che ogni frammento possa generare a sua volta unità. In modo che ogni frammento possa diventare fermento. “Nel mondo siamo chiamati a essere sale, luce, lievito che fa fermentare ogni cosa” – anche queste sono parole di don Pino. “L’Eucaristia genera e rigenera la famiglia di Dio” ha poi detto il cardinale Zuppi.
Sappiamo anche però, come ha ricordato il papa durante la Santa Messa a conclusione del Congresso eucaristico, che il pane “non sempre è spezzato nella giustizia”. A cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, si è chiesto papa Francesco, di fronte a queste contraddizioni? Ad affermare il primato di Dio, ad adorare Dio. A stabilire una relazione con Dio che sottrae l’uomo al potere del mondo, potere che pretende di sottomettere la persona, potere che annulla la personalità tanto che, come ricordava il Vangelo del giorno, all’uomo ricco non resta nemmeno il suo nome; l’uomo schiavo del potere del denaro non è più nessuno. Quella con Dio è invece una relazione che libera. “Lui mi ha voluto rivestire di bellezza” continuava il santo padre, “e mi vuole libero, mi libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero”.
“Torniamo al gusto del pane” ha detto il Papa a conclusione dell’omelia, “per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte. Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane”.
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