Vivere per gustare il bene

Una riflessione a margine della Giornata per la Vita celebrata in diocesi, di fronte alla domanda: cosa si è perso della vita quando appare non desiderabile?

Nella vigilia della 46a Giornata per la Vita del 4 febbraio 2024, che ha avuto come tema “La forza della vita ci sorprende”, si è tenuta a Matera, presso l’auditorium di Sant’Anna, un incontro per approfondire il messaggio che i vescovi italiani hanno diramato in questa circostanza sulla drammatica realtà delle molte, troppe vite negate.

Sono intervenuti: Nicola Carlucci, ginecologo presso l’ospedale Madonna delle Grazie di Matera; don Antonio Polidoro, Direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale dei Migrantes; Gianfranco Apostolo, Presidente del Forum delle Famiglie di Basilicata; Luca Iacovone, giornalista già direttore della Residenza Brancaccio di Matera; Lucia Linzalone, del Centro di Aiuto alla vita di Matera. Ha moderato l’incontro Erasmo Bitetti, direttore dell’Ufficio diocesano delle Comunicazioni sociali. Le conclusioni sono state affidate a mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico.

Si è trattato di porsi di fronte a temi apparentemente diversi: il dramma del rifiuto della vita nascente, le difficoltà che attraversano le famiglie di fronte alla nascita di figli, l’odissea degli immigrati, i tanti problemi della vita anziana e degli ammalati. Tutte realtà che potrebbero indurre a pensare che, in determinate difficili circostanze, la vita non valga la pena di essere accolta. E vediamo come questa obiezione diventi purtroppo sempre più ricorrente.

Sono temi soltanto apparentemente diversi e che, invece, insistono tutti sullo stesso interrogativo. Cosa porta tanti uomini a considerare talvolta la vita poco desiderabile? È una domanda, è la grande domanda che richiama l’antico interrogativo posto dal salmista: «C’è qualcuno che desidera la vita?» (Salmo 34) Cosa si è perso della vita per renderla non più desiderabile? È un interrogativo che non può essere evidentemente eluso e di fronte al quale vogliamo provare a fare una riflessione.

Cosa si è perso della vita per non desiderarla? Indubbiamente si è perso il suo contenuto. Cosa c’è nella vita da renderla attraente? Come ha ricordato l’Arcivescovo don Pino, al termine dell’incontro, non possiamo ricercare la risposta a questo decisivo interrogativo in un formalismo religioso. Dobbiamo ricercare la risposta nella Parola di Dio. Il salmo appena richiamato recita: «C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?»

Ciò che rende desiderabile la vita, suggerisce il salmista, è il bene che la vita contiene, è il bene che vi è racchiuso. È la possibilità di gustare quel bene; tutto ciò, cioè, che l’uomo incessantemente cerca.

Ma questo pone il problema della natura di questo bene. Perché se si tratta di un bene effimero, è evidente che la vita non vale la pena di essere vissuta. O, almeno, ne varrebbe la pena fino a un certo punto, non oltre un determinato prezzo. Quel prezzo che, per esempio, metterebbe a rischio il nostro benessere, qualcosa che invade la nostra “comfort zone”.

I vescovi italiani, nel loro messaggio, indicano chiaramente la natura di ciò che chiamiamo bene. Il bene è qualcosa che, nel suo dinamismo, sorprende. Ci sorprende positivamente. Anche la vita della persona anziana, del bambino malato, ha qualcosa capace di sorprenderci. Qualcosa cioè che non soccombe di fronte alla malattia, alla morte. O meglio, qualcosa che risorge sulle sue ceneri.

Ci si chiede che senso avrebbe continuare a vivere, se anticipare la morte può evitare le sofferenze cui una vita potrebbe andare incontro? In realtà, un senso la vita, anche la vita sofferente, ce l’ha. È nella sorpresa di vedere come questa vita sempre rinasce. E vedere questo anche, anzi soprattutto, in una vita sofferente. Dove quello che sorprende è come rinasca ogni momento, laddove ci saremmo aspettati un suo cedimento.

Quel bene che si cela nella vita umana – noi ne conosciamo il nome – è Cristo. È la resurrezione di Cristo che muta la natura e il destino della vita umana, che porta questa a vincere anche sulla morte, che rende lieve il peso della croce. Cristo è il bene, è il contenuto della vita, è la pienezza della vita. Lo ha detto San Paolo: «Cristo è tutto in tutti» (Colossesi 3,11).

Come cambierebbe la posizione dell’uomo di fronte alla vita, se egli riconoscesse in essa il germe della risurrezione introdotto da Cristo. Quanta capacità di accoglienza scaturirebbe da questa positività riconosciuta nella manifestazione di ogni singola vita. Come cambierebbe la stessa vita e la società intera!

© 2018 Tritto/Logos Fiore

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Paolo Tritto

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