Rosario Livatino: primo magistrato beatificato nella storia della Chiesa

Lo scorso 9 maggio è stato beatificato il primo magistrato nella storia della Chiesa: il siciliano Rosario Livatino. Un omicidio "in odium fidei", uno dei tanti giusti che hanno pagato negli anni '90 il costo della criminalità organizzata siciliana. Un testimone eloquente che chiede ancora oggi a noi cristiani di essere "credibili" ancor prima che "credenti".
Rosario Angelo Livatino
(Canicattì, 3 ottobre 1952 –
Agrigento, 21 settembre 1990)

È il 21 settembre 1990. Il giudice Livatino, 37 anni, si sta recando in Tribunale con la sua Ford Fiesta amaranto quando viene speronato e colpito da proiettili di pistola alla spalla. Ha la forza di superare il guard-rail ma nella scarpata adiacente la strada viene rincorso da quatto giovani che gli sparano in pieno volto: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?”, le sue ultime parole. Artefice dell’omicidio la “Stidda” agrigentina.

Livatino era “giudice rigoroso, inavvicinabile, poco incline ai compromessi nello svolgimento del lavoro, in cui si attardava sino al tardo pomeriggio. Attento alle minuzie perché da esse si potevano trarre indizi significativi”, testimonia una collega più giovane.

Non era tanto un giudice “ragazzino” – come qualcuno l’ha definito associando alla sua giovane età le parole dell’allora Presidente della Repubblica Cossiga che, nel 1991, all’inaugurazione del tribunale di Gela, procura di frontiera caratterizzata da una forte presenza mafiosa diceva: “Mi auguro che qui non vengano inviati giudici ragazzini” – ma un giudice che, con una preparazione solida alle spalle, una mente acuta e la giusta fiducia nelle sue intuizioni, in dieci anni di magistratura aveva imparato bene il suo mestiere.

Speiega don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione: “Giudicava per poter riportare in qualche modo l’ordine voluto da Dio. C’era questa grande capacità di guardare all’imputato e ai fatti con gli occhi di Dio. Rendere giustizia è per lui non condannare le persone ma riparare un danno che si è creato attraverso la commissione di un reato e poi dare a quella persona la possibilità, una volta pagato il debito con la società, di rivivere come parte sana in un tessuto sano.

Dal processo di beatificazione non è emerso quanto Livatino fosse retto, giusto e attaccato alla fede, ma quanto queste fossero le ragioni del suo martirio: un modo di interloquire con la criminalità organizzata”. L’omicidio di Livatino, nello scorso dicembre, viene dichiarato ‘in odium fidei’.

“S.T.D.” è la scritta misteriosa ritrovata sulle agendine che lo accompagnavano ogni giorno come un diario dell’anima. “Sub tutela Dei”, ovvero “sotto la protezione, sotto lo sguardo di Dio” era il significato di questa sigla svelato dalla minuta della tesi di laurea: un classico dei profughi, di chi si sente perseguitato, come forse da sempre Livatino si sentiva, già prima che da magistrato avesse detto: “I processi più difficili dateli a me”.

“Non mi sposo per non lasciare nel dolore una donna che rimarrà vedova e figli che diventeranno orfani”, aveva detto. E viveva in famiglia, a Caltanissetta col padre Vincenzo e la madre Rosalia Corbo.

Era il 9 maggio 1993 quando S. Giovanni Paolo II in visita in Sicilia incontra i genitori di Livatino: un incontro fatto più di sguardi che di parole, al termine del quale il Papa aveva mormorato ai più stretti collaboratori: “Ecco cos’è la mafia. Un conto è studiarla, un conto è vedere cosa ha provocato”. E nello stesso giorno, l’anatema dei mafiosi nella Valle dei Templi con il veemente invito alla conversione.

Ecco il 9 maggio che è stato scelto come data di beatificazione di questo magistrato, primo nella storia della Chiesa a salire all’onore degli altari, che sarà festeggiato il 29 ottobre, giorno in cui nel 1988 – a 36 anni – ricevette il sacramento della Confermazione, compimento di un percorso di fede che abbracciò da adulto con convinzione.

Qualcuno si è chiesto: perché spezzata così presto una vita così feconda di bene? Dopo tre anni il fascino e la testimonianza di Livatino era presente in tutto il mondo: non così, forse, sarebbe stato se fosse vissuto molto di più.

“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”: questo rimane probabilmente il messaggio più importante di Livatino per noi cristiani oggi.

Docu-video-testimonianza: “Rosario Livatino: l’uomo”.
Realizzato da Tv2000 in collaborazione con il Centro per la Cultura e la Comunicazione dell’Arcidiocesi di Agrigento.
Docu-video-testimonianza: “Rosario Livatino: il magistrato”.
Realizzato da Tv2000 in collaborazione con il Centro per la Cultura e la Comunicazione dell’Arcidiocesi di Agrigento.
Docu-video-testimonianza: “Rosario Livatino: il credente”.
Realizzato da Tv2000 in collaborazione con il Centro per la Cultura e la Comunicazione dell’Arcidiocesi di Agrigento.

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Giuseppe Longo

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